A Silvia - Giacomo Leopardi | Video

Composta da Leopardi nel 1828, A Silvia èun poema dedicato a una fanciulla che il poeta realmente conobbe, forse Teresa Fattorini, figlia del cocchiere di casa, morta di tisi nel 1818

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Non è una commemorazione funebre, né una canzone in onore di Silvia: è una confessione del poeta, un lungo e commosso colloquio con Silvia, la cui morte prematura diventa il simbolo delle speranze del poeta, diminuite all’apparire della terribile verità della condizione umana.

Il canto è costruito sulle esperienze parallele della giovinezza di Silvia, precocemente troncata dalla morte, e delle illusioni del poeta. Il componimento è costituito da 6 strofe di varia lunghezza: settenari e endecasillabi si succedono secondo l’ispirazione e la rima non ha uno schema prestabilito.

L’unico elemento di regolarità è il ripetersi del settenario alla fine di ogni strofa. Il vocativo iniziale ricrea la figura della giovinetta attorno alla quale si addensano i moti sentimentali della lirica. Per un attimo il poeta sembra dubitare che Silvia possa ricordare il suo breve passato di fanciulla, quando la bellezza dell’adolescenza brillava nei suoi occhi vivaci ma schivi. L’occhio di Silvia ride perché l’anima è serena.

Lieta della sua giovinezza, ma preoccupata per il futuro, stava per varcare la soglia della giovinezza. Emergono poi le linee dell’ambiente che la circonda: le stanze tranquille della casa, le vie circostanti che echeggiavano il suo canto mentre era intenta ai lavori femminili. La giovinezza del poeta è congiunta con quella di Silvia. Interrompendo gli studi piacevoli e gli studi eruditi, tendeva l’orecchio al canto di Silvia e coglieva il fruscio impercettibile della mano di lei sul telaio.

Il canto di Silvia richiama Leopardi dai suoi libri, lo induce ad affacciarsi sul mondo e gli fa sentire la giovinezza. Quelli che seguono sono i versi più ariosi della lirica: Leopardi, rapito nell’incanto di una possente e fragile illusione, sembra aprirsi alle forme luminose della vita: il cielo sereno, le vie dorate dal sole, gli orti, il mare all’orizzonte e il profilo del monte. Un linguaggio umano non può esprimere i sentimenti che in quegli attimi di intesa commozione il giovane poeta provava dentro di sé. Il ricordo di quelle speranze fa più triste il presente e Leopardi protesta contro la natura matrigna che promette tanto e mantiene poco, ingannando gli uomini.
Tutte le volte che ricorda una così grande speranza è oppresso da un dolore pungente e disperato e prova angoscia per la sua presente vita dolorosa e sventurata.

Dopo i sogni e le illusioni, i destini dei due giovani divergono. Silvia, afferrata e distrutta da una malattia nascosta, muore. Non può giungere al pieno della sua giovinezza e non conosce la dolcezza dei primi amori. Il destino di Leopardi coincide con quello di Silvia: non muore materialmente come lei, ma anche lui non conosce le gioie della giovinezza. La natura li tradisce entrambi. Come è morta Silvia, ben presto anche la speranza del poeta in breve si spegne: anche al poeta il destino nega la giovinezza in quanto lui invecchia precocemente.

Il poeta si rivolge alla speranza rimpianta, compagna dell’adolescenza, e piange su se stesso e sulla propria illusione sfiorita. Ancora un breve intenso moto di ribellione contro il destino: si chiede se è questo il mondo di gioia tanto sognato e questa la sorte degli uomini. Il poeta vede simboleggiato, nel proprio destino, quello di tutti gli uomini. Al cadere delle illusioni, anche la speranza cade e mentre sparisce indica la fredda morte e una tomba deserta, senza il compianto di nessuno. Con questa immagine di desolazione, si chiude la poesia che era iniziata con l’immagine luminosa di Silvia adolescente.

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