Laurea in Odontoiatria e Protesi Dentaria 2002 - 2003

Domanda 18 di 64

Doveva essere l'aprile o il maggio del '56, a Trieste. Eravamo in II liceo e, durante l'ora di greco, un mio compagno, Cecovini, aveva lanciato una pallina di carta che era finita, inopinatamente, sulla testa calva del professore, chino sulla cattedra a leggere il registro. Il professore alzò gli occhi, vide davanti a sé lo studente che sedeva in primo banco, De Cola, e lo identificò senz'altro e immediatamente con l'autore del lancio. “Tu, caro De Cola, che ti diverti a tirare palline di carta ...”. L'accusato protestò vivacemente la sua innocenza, ma invano, perché l'insegnante continuava a dirgli, bonario e imperterrito: “Eh, caro De Cola, tu hai l'abitudine di tirare palline di carta, lo so... ti piace fare il Pandaro, l'arciere troiano, eh....” Dopo qualche minuto il vero colpevole, da uomo d'onore, si alzò e disse: “Professore, sono stato io”. Al che l'insegnante, dandogli un'occhiata distratta, replicò: “Ah sì, sei stato tu, va bene però anche tu, De Cola, con la tua mania di tirare palline di carta...”. Da quel giorno, ogni volta che entrava in classe, il nostro professore di greco, grande conoscitore e docente della sua materia, apostrofava subito De Cola: “Tu, che tiri sempre palline di carta... lo so, lo so, quella volta è stato Cecovini, ma anche tu, con questa tua pessima abitudine...”. Non ho più dimenticato quella lezione, che svelava il meccanismo del pregiudizio e dimostrava quanto esso si radichi profondamente in noi, senza venire scalfito dalle smentite della realtà. Il fatto che De Cola non avesse, quella volta, tirato delle palline era, per l'insegnante, qualcosa di casuale, di accidentale, così come era accidentale il fatto che, a tirarle, quella volta fosse stato Cecovini. Necessario e fondamentale, ai suoi occhi, era invece il fatto che, a suo avviso, nella natura di De Cola ci fosse una colpevole inclinazione a tirare palline, anche se non le tirava. (Claudio Magris, Utopia e disincanto, Garzanti, 2001, p.288 e sgg.) Il ricordo di un evento scolastico di per sé abbastanza banale induce lo scrittore a riflettere su un atteggiamento mentale da cui nessuno può ritenersi del tutto indenne. Tra quelle proposte, scegliete l’espressione che meglio lo definisce: