Satyricon di Petronio: riassunto e analisi

Analisi, commento e riassunto del Satyricon, famosissima opera di Petronio di cui oggi possediamo solo alcuni frammenti

Satyricon di Petronio: riassunto e analisi
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Satyricon di Petronio

Satyricon, nella versione cinematografica di federico Fellini
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Il Satyricon di Petronio è importante per diversi motivi. In primo luogo, è uno dei primi esempi di romanzo satirico e uno dei pochi sopravvissuti dell'antica letteratura latina. Offre un'importante testimonianza sulla vita quotidiana, la cultura e la società nell'antica Roma, grazie alle sue descrizioni dettagliate dei personaggi e degli eventi. Inoltre, il lavoro presenta una varietà di stili letterari e un umorismo oscuro, influenzando successivamente la letteratura satirica europea. Infine, il Satyricon affronta temi come la corruzione, la lussuria e la decadenza, offrendo una critica sociale e culturale del suo tempo.

Il Satyricon è una narrazione comico-satirica di contenuto licenzioso attribuita all'autore latino Petronio. Lo stile è misto (prosa e versi), e il contenuto giunto fino a noi è purtroppo incompleto: conosciamo solo i libri XV e XVI.

Il Satyricon è ambientato a Napoli, e ha come protagonista Encolpio, studente che vive con l’amante Gitone, e che avendo commesso una violazione verso Priapo, divinità fallica, è ora perseguitato dal dio. Da questo derivano una serie di avventure, al cui termine accade che Eumolpo si ammala, e nello stendere il testamento stabilisce che solo chi si sarebbe cibato del suo cadavere sarebbe stato erede del suo patrimonio.

Nel Satyricon trovano spazio numerosi inserti poetici, tra cui la Troiae Halosis e il Bellum Civile, oltre che cinque novelle tra cui la novella della matrona di Efeso.

Il romanzo si ricollega alla satira sia per la sua forma esametrica, sia come variante della satira menippea, con cui condivide il prosimetro. Sono evidenti anche gli influssi della novella milesia, caratterizzata da racconti licenziosi e realismo.

Satyricon di Petronio: analisi

Petronio
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Utilizzando i dati ricavabili dal testo superstite del Satyricon di Petronio e le notizie fornite da altri autori si può ipotizzare che la storia dell'opera avesse inizio a Marsiglia. Qui, in occasione di una pestilenza, Encolpio vie­ne scelto dalla cittadinanza come capro espiatorio e mandato via dalla città. Inizia così a vagabondare, arrivando a toc­care varie città dell’Italia meridionale, forse con destinazione ultima l’Egitto, culla di ogni sapere e sede di ogni rinascita spirituale. Encolpio sembra essere incorso nell’ira di Priapo, che lo incalza nelle sue peregrinazioni.

Una spiegazione della persecuzione sta nel fatto che Encolpio somiglia al dio nell’aspetto, ma non nel carattere: Priapo è un protettore di greggi e giar­dini, un mortale nemico dei ladri, mentre Encolpio viene descritto come un uomo abbastanza colto ma spiantato e, per questo, spesso costretto a rubare. Priapo si prende le sue vendette nella sfera sessuale: Encolpio è costantemente coinvolto in affari di sesso e Priapo gli contrappone donne possessive che lo sottopongono a estenuanti rituali erotici, disturba i suoi amori con la presenza di qualche terzo incomodo, lo fa preci­pitare nella più completa impotenza o lo fa cadere nelle mani di orride megere che lo seviziano con improbabili pratiche magiche intese a restituirgli l’antico vigore.

Satyricon di Petronio: trama

Quando inizia il frammentario testo superstite sono già accadute parecchie cose: Encolpio è sfuggito alla giustizia, è scampato ad un agone gladiatorio, ha ucciso un ospite ed ha rubato delle monete d’oro.

In una prigione ha conosciuto Gitone, un bellissimo ragazzo, se ne è innamorato ed è fuggito con lui. Ma ben presto si è trovato implicato in fastidiosi rapporti con più persone: prima con una cortigiana di nome Trifena e poi con un ricco mercante e marinaio, Lica, e sua moglie Edile. En­colpio vorrebbe vivere in pace il suo amore con Gitone, ma è vittima di continui attacchi di gelosia ed è dominato dall’idea della fuga. Alla coppia si unisce Ascilto, un giovane aitante e spregiudicato, al quale Encolpio nasconde il legame con Gitone. L’azione si svolge in una città greca della Cam­pania, dove i protagonisti profanano un tempio di Priapo, smarrendo un mantello con 12 monete d'oro. All'inizio del frammento pervenuto, Encolpio si trova nel portico di una scuola e discute con un professore di retorica, Agamennone, sulle cause della corruzione dell’eloquenza. Nel frattempo Ascilto scappa per raggiungere la locanda in cui lo attende Gitone. Colto da gelosia, Encolpio lo insegue, ma entrambi si perdono in un labirinto di vicoli. Più tardi, nella locanda, si svolge una specie di mimo, che si potrebbe intitolare “Gitone conteso”, con gelosie, litigi e risate di rappacificamento finale.

Durante la sera Encolpio e Ascilto si recano al mercato per cercare di vendere un mantello rubato. Qui incontra­no un contadino con la tunica che avevano smarrito, che dice di essere il proprietario del mantello: alla fine uno scambio della refurtiva evita il coinvolgimento in un'azione giudiziaria. Tornati all’albergo, sono raggiunti da Quartilla, sacerdotessa di Priapo, che rinfaccia loro di averle causato, con la profanazione del tempio, un grave attacco di febbre: ad espiazione del gesto e come terapia per la sacer­dotessa malata, i tre vengono sottoposti a torture erotiche di ogni genere. Il terzo giorno evitano una punizione più dura accettando un invito a cena procurato da Aga­mennone.

La cena di Trimalcione

Inizia così il famoso episodio della "Cena Trimalchionis", il più lungo e il più integro del romanzo. Il loro ospite è Trimalchione, un liberto d’origini asiatiche che ha accumulato un’immensa fortuna. Dopo una prima bizzarra apparizione di Trimalchione alle terme, dov’è l’appunta­mento per gli invitati, il suo ingresso ufficiale nella sala da pranzo è preparato dalla descrizione della casa, dei suoi accessori e da cenni sul suo caratte­re da "nuovo ricco". Nella casa tutto deve filare a tempo, tranne il proprietario, che si presenta ai commensali in ritardo ed impegnato nella partita di un gioco. Ogni evento del­la cena, accompagnato da un sottofondo di musica e canto, può diventare un pretesto per battute, novità e trovate spettacolari.

Lo sfarzo “barocco” delle interminabili portate rag­giunge i limiti dell’immaginabile: piatti costruiti come enigmi, false uova che contengono beccafichi, cibi che raffigurano i segni dello zodiaco, carne suina camuffata in forma di oca e di altri animali, un cinghiale arrostito dal cui ventre esce a volo uno stormo di tordi, un maiale cotto che ha per viscere salsicce e sanguinacci caldi.

Persino l’etichetta di un vino Falerno centenario diventa pretesto per considerazioni sulla brevità della vita, per un brindisi alla bontà del vino e alla generosità dell’an­fitrione: qui Trimalchione, secondo un uso egiziano, si fa portare uno schele­tro umano, d’argento e snodabile, col quale burattineggia un po’ sulla tavola per poi fare qualche verso sulla pochezza dell’uomo.

In un breve inter­mezzo, mentre Trimalchione si allontana per un bisogno impellente, solleci­tati da Encolpio e Ascilto, alcuni convitati si abbandonano alla conversazione, intrecciando frasi fatte e massime di saggezza popolare, pettegolezzi e valuta­zioni politiche, riflessioni sulla vita e sulla morte. Riprende la cena con i suoi colpi di scena gastronomici, mentre Trimalchione fa sfoggio di una cultura fatta di nozioni orecchiate e marchiani spropositi. Tra saltimbanchi e lotterie, epi­grammi improvvisati e facezie d’ogni genere compare in tavola una nuova portata, con al centro un Priapo carico di frutti e focacce che effondono un profumo esotico. In questo clima carico di sim­boli un convitato, Nicerote, e lo stesso Trimalchione raccontano favole di magia. A ravvivare il banchetto, sopraggiunge da un altro festino il marmista Abinna con la mo­glie.

Tra una girandola di ulteriori colpi di scena, la cena si avvia alla conclu­sione e Trimalchione, appesantito dal vino, sembra ormai dominato dal solo pensiero della morte: legge il proprio testamento e discute con Abinna il pro­getto della propria faraonica tomba. Poi torna alla vita: dopo un bagno ristoratore e un primo fallimentare tentativo di fuga di Encolpio e Ascilto, il banchetto riprende tra nuove sorprese. L’interessamento di Trimalchione per uno schiavo scatena la ge­losia della moglie Fortunata, i due litigano e Trimalchione si ab­bandona ad una rievocazione della sua car­riera. Ogni vita termina con la morte e Trimalchione, per completezza, mima anche quella: si distende in abito funebre mentre i suonatori di corno intona­no una marcia. Ma il suono dei corni viola il silenzio della notte e i vigili del fuoco irrompono nella casa di Trimalchione. Nello scompiglio che segue Encolpio e Ascilto riescono a fuggire, raggiungendo Gitone alla locanda.

Encolpio e Gitone

Un'altra scena del Satyricon di Fellini
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Encolpio e Gitone si imbarcano al seguito di Eumolpo, ma in piena notte si accorgono con terrore di essere capitati sulla nave di Lica, che ospita anche un’altra pericolosa nemica, Trifena: il primo medita propositi di vendetta contro Encolpio, che accusa di averlo tradito, la seconda spera di rimettere le mani sul bel Gitone. Consigliati da Eumolpo. Encolpio e Gitone si camuffano da schiavi fuggitivi con la testa rasata e sulla fronte il marchio della colpa, ma vengono smascherati. La lite diventa ben presto guerra: Eumolpo si schiera coi due nuovi amici, Trifena invoca una tregua ed Eumolpo ottiene la pace, suggellata da un banchetto durante il quale Eumolpo intrattiene l’uditorio con la no­vella della matrona di Efeso.

Nell’ilarità disinibita del festino si ricostituirsi le coppie di un tempo (Trifena-Gitone, Lica-Encolpio), quando una tempesta si abbatte sulla nave: Lica annega, Trifena sparisce sulla scia­luppa di salvataggio, Encolpio e Gitone riescono a strappare Eumolpo alla sua cabina, dove, insensibile al cataclisma, s’accanisce a comporre versi, e i tre sono restituiti dalle onde ad una spiaggia del Bruzio.

Cremato il cadavere di Lica, salgono su un monte e scoprono di essere nelle vicinanze di Crotone, un tempo città colta e fiorente, ora ridotta a un mortorio, dove l’unica occupazione è quella di irretire i vecchi senza figli per impadronirsi della loro eredità. Eu­molpo decide di sfruttare l’avidità dei cacciatori di eredità fingendosi un afri­cano, malandato di salute, che ha perso i suoi bagagli in un naufragio ma che in patria dispone di immense ricchezze. Si avviano verso la città. Eumolpo prima impartisce una lezio­ne sulla poesia epica, che vorrebbe fatta di mito e fantasia, come accade in Virgilio, non di realtà storica, come in Lucano; poi declama 295 esametri sulle origini della guerra civile.

A Crotone, Encolpio è irretito da una matrona bella e disinibita, Circe. Nel suo nuovo ruolo di "schiavo del ricco africano" Encolpio ha assunto il nome d’arte di Polieno, nome con cui nell’Odis­sea le Sirene invocano e tentano di sedurre Ulisse. Circe prima manda in avanscoperta l’ancella Criside, poi si getta di persona tra le braccia del suo Ulisse, che lì, su un bel prato in mezzo ai platani, la farebbe subito sua se Priapo non gli togliesse sul più bello la virilità. Encolpio cerca di rifarsi con Gitone, ma fallisce nuovamente. Grazie alle magie di una vecchia megera, Proseleno, ingaggiata da Circe, Encolpio sem­bra recuperare la virtù perduta, ma ripete il disa­stro. Picchiato e torturato dai servi della matrona, Encolpio si rifugia in ca­mera sua e rivolge una severa ram­pogna in distici elegiaci a quella parte del suo corpo che tanto ignobilmente lo ha tradito.

Una seconda maga, Enotea, chiamata in causa da Pro­seleno, tenta altre pratiche esorcistiche. Tra una terapia e l’altra Encolpio, assalito da tre oche fameliche, ne uccide una sacra a Priapo. I riti riprendono e le torture erotiche ricorda­no quelle già patite ad opera di Quartilla. Alla fine Encolpio riesce a scappare. In seguito deve fronteggiare le avances dell’ancella di Cir­ce, Criside. Più tardi, forse perché si appella ad un dio più potente di Priapo, Mercurio, Encolpio recupera la sua forza virile. Della beffa di Eumolpo resta solo il finale: a forza di fare il malato, Eumolpo si ammala gravemente e fa testamento, stabilendo che gli eredi, per godere delle sue ricchezze, dovranno prima cibarsi delle sue carni. E qui la storia si arresta.

Petronio: approfondimenti

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