Il ruolo dei giovani nella storia e nella politica

Svolgimento del saggio breve, tipologia B, ambito storico-politico sul ruolo dei giovani nella storia e nella politica

Il ruolo dei giovani nella storia e nella politica

Più o meno tutti i numerosi partiti italiani hanno cercato di affrontare il problema e, a mio parere, nessuno alla fine è riuscito a risolverlo. C'è stata qualche buona intuizione come l'apertura del dibattito sulla precarietà, che è un fenomeno più avvertito fra i giovani - anche se faremmo torto ai troppi che giovani non sono, ma che finiscono comunque nel tritacarne dei contratti a termine, se ci dimenticassimo di loro -.

Due domande importanti, tuttavia, non sono ancora state risolte pienamente: i giovani italiani, che pure sono tartassati, hanno coscienza di essere accomunati per molti versi dagli stessi problemi e dalle stesse potenzialità? e, soprattutto, la nuova generazione ha la volontà di prendere sulle sue spalle il peso del proprio futuro?

Nei dibattiti che ho sentito, in cui si invocavano confusamente le giovani generazioni, mai una volta si è stati in grado di allontanarsi da una specie di tendenza a invocare il nuovo solo perché nuovo; quasi si volesse fare una sorta di prologo del manifesto futurista. In nessuno di questi dibattiti si è mai posto il problema del perché si parlasse di giovani e a quali giovani fossero diretti i discorsi intrisi di filosofia politica che venivano pronunciati. Forse si dava per scontato di parlare di giovani perché genericamente si deve parlare del futuro in un paese particolarmente anziano come l'Italia. E, forse, si faceva l'errore di ritenere che i giovani siano particolarmente interessati alle categorie filosofiche e politiche.

Parlare di giovani non ha niente a che vedere con il futuro. Ha a che vedere con il presente, con il qui e l'ora. Non ha senso un discorso improntato sulle capacità dei giovani di assumersi in futuro responsabilità politiche, amministrative e di ogni altro genere, quando la nostra società ci nega il diritto di decidere di noi stessi. Parlare d'altro può interessare ad alcuni di noi ma il nostro dialogo finirebbe esattamente alla fine di questa pagina, o alle soglie della sala che ci ospiterà sabato. Se vogliamo rispondere al significato vero del termine politica dobbiamo avere il coraggio di affrontare i nostri coetanei, capire i loro problemi, al di là dei facili schemi precostituiti dalla politica degli ultimi anni, e offrire soluzioni.

Alcuni problemi sono noti da tempo: precarietà, selezione sociale operata nelle professioni e nell'insegnamento universitario da tasse, numeri chiusi e borse non assegnate. Altri problemi hanno appena cominciato ad emergere: la possibilità di farsi una famiglia, di potersi muovere con meno costrizioni, di non essere costretti al baciamano politico per poter lavorare. Eppure eccetto che al precariato, grazie all'opera delle forze della Sinistra, non è stato dedicato a questi temi nessuno spazio organico né di dibattito né di decisione.
Durante la troppo breve vita del nostro governo, il migliore che probabilmente ci sarà dato di avere per molti anni, le aule parlamentari sono sembrate troppo impegnate a rincorrere le emergenze e a cavalcare l'ultima moda lanciata da qualche giornalista prezzolato. È mancato totalmente qualsiasi disegno organico che ci riguardasse; certo non sono mancati interventi mirati e settoriali che però credo non bastino a nessuno proprio per la loro contingenza.
La gravità della situazione si può misurare se ci rendiamo conto che alcuni di noi saranno costretti a ringraziare Alleanza Nazionale che, pur con un doppio fine, ha portato all'approvazione l'aumento delle borse di dottorato. Questo sempre che i dottorandi non decidano di lasciare questo paese, che non li vuole e lo ha dimostrato più volte. E non è il solo esempio che ci dimostra di come la classe politica, più che il paese, abbia dimostrato di non essere in grado di tutelare quello che pomposamente si definiva, evidentemente senza crederci, il bene più prezioso del paese.
Dobbiamo dirci, anche fra noi, che i nostri coetanei non riescono a tollerare un paese che li obbliga a vivere ai margini dell'economia, come forza lavoro non specializzata, o come professionisti, a cui nei fatti è negato il diritto di esercitare la loro libera professione, se non sotto la cappa asfissiante di qualche scala gerarchica. I ragazzi e le ragazze di questo paese non possono sopportare uno stato che ergendosi a detentore del giudizio morale, oltre che di quello penale, ci obbliga a vivere secondo scelte etiche compiute da altri; scelte che si possono definire semplicemente come sbagliate. Noi non possiamo accettare che il nostro stato sia ancora così ripiegato su sé stesso, sulla propria autosufficienza, da credere che il potere politico sia sufficiente a sé stesso e sia immune da qualsiasi giudizio.
Per questo senso di marginalità e di esclusione i giovani sono forse fra le categorie più deluse dalla politica. Una politica che promette di volerli includere e poi disattende quelle promesse per pensare a come costruire partiti e leggi elettorali. Il senso di frustrazione e di impotenza di chi come noi vorrebbe una politica attenta ai propri bisogni e poi la vede china a pensare a sé stessa è quindi facile da spiegare. Tuttavia nessun partito o movimento, finora, ha avuto il coraggio di ammettere questo stato di cose pubblicamente. La politica deve pensare di intervenire sui temi che interessano i giovani e li toccano da vicino. E che non sono, detto per inciso, le politiche giovanili. Università, lavoro dipendente e autonomo, scuola, stato sociale, trasporti pubblici, telecomunicazioni, risorse, ambiente, giustizia, rapporti civili ed etici, e tanti altri ancora, sono questi i temi su cui è giusto che la Sinistra si confronti con noi come giovani, ma soprattutto come cittadini.

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