TIPOLOGIA A: Analisi del testo

1° prova maturità 2003: lo svolgimento della traccia della Tipologia A

TIPOLOGIA A:  Analisi del testo

Luigi Pirandello, da «Il piacere dell'onestà» (atto I, scena VIII, dialogo tra Baldovino e Fabio)
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La figura di Pirandello, isolata dal resto del panorama culturale italiano, consente di seguire, grazie alla sua produzione, un percorso della crisi storica ed esistenziale dell’individuo ed, in particolare, dell’intellettuale nella società tra 800 e 900. Dopo il 1870, gli anni della sua prima formazione, un forte senso di insoddisfazione domina i vari settori dell’opinione pubblica e gli animi dei giovani intellettuali per il fallimento degli ideali risorgimentali.
La realtà italiana non ha seguito infatti gli eroici ideali ipotizzati nel primo Ottocento: le zone meridionali senza speranza di sviluppo sono ridotte a mera mercanzia di conquista, il rinnovamento dello Stato, data l’incapacità della politica di avviare un reale e sostanziale processo di trasformazione, rimane paralizzato negli scandali.

Il periodo giolittiano vede il disgregarsi dell’utopia socialista, data l’insufficienza e la leggerezza di molti dei suoi dirigenti e la relativa e indolente arretratezza delle masse. Infine, la prima guerra mondiale che non muta le condizioni, ma diffonde un’immagine decadente della società borghese ed esaspera la delusione e l’irrequietudine popolare che videro nel fascismo il punto di coagulo di rivoluzione e crisi.
Naturalmente anche gli intellettuali furono colti da questo senso di crisi, una “crisi d’identità” ed è proprio in questo contesto che potremmo collocare la figura di Pirandello. Sul binomio dialettico verità e finzione, caposaldo della genesi del teatro, Pirandello pone le basi del suo essere uno dei più importanti autori teatrali; l’indagine sulla Verità, intesa come dibattito sui problemi reali dell’individuo e della società e non come verosimiglianza di personaggi e situazioni, definisce il processo di liberazione, per così dire, attuato dall’autore per arrivare ad una conoscenza più alta, una Verità interna all’oggetto preso in analisi.

Il “Piacere dell’onestà” è appunto un’appendice al discorso pirandelliano di tale rapporto strutturale.
L’ambiguità della “maschera”, che permette di raggiungere la verità attraverso la finzione e quindi all’obiettivo primo del teatro cioè la catarsi, viene qui bene impostata. Baldovino accetta razionalmente di fingere la parte di marito legale di Agata, senza perdere però la sua azione-funzione attiva nella società, smascherando e facendo accettare indistintamente la realtà venutasi a costruire agli altri personaggi: “il teatro non è illusione: è realtà che finalmente appare.
No, non siamo fatti della materia dei sogni: sono i sogni ad essere fatti della nostra stessa inafferrabile materia”.
Il personaggio vive una realtà che gli viene imposta o da ciò che lo circonda o costruita dal suo Io, si veste della maschera e tenta, cerca in ogni modo, di acquisire un’autocoscienza innanzi alle motivazioni che lo hanno spinto a produrre quella maschera.

La produzione letteraria di Pirandello nasce in margine al Verismo, ma se ne distacca fin dall’inizio assumendo toni molto più polemici, per una visione più amara e paradossale della vita.

La sua attenzione è rivolta all’individuo e parte dalla consapevolezza di una frattura che si attua nella civiltà romantica e borghese. L’arte di Pirandello è la denuncia angosciosa di questa crisi.
La molteplicità della realtà rappresenta proprio l’apparenza che caratterizza i suoi personaggi sempre pronti a lottare, dimenarsi contro l’artificiosità di tutte le cose e a vivere nell’ansia di un’esistenza vera.
Da qui, dalla rappresentazione di una vita che non è vita, ma solo illusione, si colloca il pessimismo pirandelliano, come cardine di un qualcosa che non limita, ma evidenzia la reale realtà.

Come moltissimi altri personaggi pirandelliani, Baldovino portando all’esasperazione le convenzioni sociali del suo tempo, ne fa evincere le contraddizioni. Tutti gli attori del copione cercano di vivere in nome di una virtù che non praticano, un’ipocrisia sottaciuta, ma conosciuta. L’incapacità di Baldovino di tenere fede alle sue promesse, pur avendo già imparato dalla propria esperienza di vita (“provo da un pezzo..... un disgusto indicibile delle obiette costruzioni di me....” “ io mio vedo, mi vedo di continuo....” “non può credere quanto piacere mi faccia questa vendetta che posso prendermi contro la società che nega ogni credito alla mia firma”) che la vera natura delle persone esce in tutta la sua bestialità, non si nega il piacere, come il protagonista dell’Enrico IV, di prendersi una rivincita e di provare a sovvertire quella realtà. Lui che era sempre stato un disonesto, diviene onesto tra gli inetti.
Se il suo ruolo fosse di un deus ex machina il finale sarebbe il trionfo di un ipocrita, ma forse Baldovino è realmente inconsapevole e sconfitto innanzi alla vita che lo costringe al rimorso vissuto nel dolore. L’attenzione rivolta all’onore come fondamento della giustizia morale e familiare fa del marchese Fabio Colli un uomo attaccato radicalmente ad un apparenza che lo salvi in nome dei buoni sentimenti. Ciò che conta è ciò che si dice, si viene a sapere e il resto delle genti pensa.

Il limite tra l’inconsapevolezza di capire o il fingere di non capire è davvero impercettibile, la finzione sembra servire a Fabio per scrollarsi l’animo di inutili fardelli. Le brevi risposte denotano una quasi incapacità di capire la realtà, una difesa perentoria fatta di esclamazioni, interrogativi e ripetizioni del tutto in contrasto con il carattere prolisso di Baldovino.
Capovolgimento di ruoli?
Illusione, propria dei personaggi di Pirandello, umorismo legato al paradosso della vita, fantasmi di loro stessi, sogno della loro realtà.

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