Persio: biografia e opere del poeta satirico romano

La vita, il contesto storico-culturale, il pensiero e le Satire di Persio, poeta satirico romano che aderì allo stoicismo

Persio: biografia e opere del poeta satirico romano
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Persio: vita e opere

Persio: biografia e opere
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La fonte principale sulla vita di Aulo Persio Flacco è rappresentata dalla biografia attribuita a Valerio Probo, grammatico ed editore di testi classici vissuto nell'età dei Flavi. Da questa biografia sappiamo che il poeta nacque a Volterra intorno al 34 d.C., da una famiglia dell'ordine equestre. Studiò a Roma presso il grammatico Remmio Palèmone e il retore Virginio Flacco, per poi diventare discepolo di Anneo Cornuto all'età di sedici anni. Persio era molto legato al suo maestro, e alla sua morte prematura nel 62 d.C., gli lasciò in eredità la sua biblioteca, che conteneva anche l'opera completa del filosofo stoico Crisippo. Fu proprio Cornuto a pubblicare le sue sei satire, che sono giunte integralmente fino a noi, completate da un prologo in trimetri giambici zoppi (o choliambi). Le altre opere di Persio, tra cui una praetexta, un hodoeporicon liber (il titolo suggerisce che fosse un'opera di descrizione di viaggi) e un carme in onore di una parente di nome Arria Maggiore, vennero distrutte per non compromettere la reputazione del poeta.

Persio: contesto storico-culturale

La lunga pace sociale che il regime augusteo era riuscito ad assicurare all’impero, era stata il risultato di un’ambiguità di fondo che consisteva nel mantenimento formale delle magistrature repubblicane dietro le quali in realtà si nascondeva il potere assoluto del princeps (primus inter pares). Ciò dava l’illusione alla classe senatoria, duramente provata dalle guerre civili, di una pur tenue continuità con la repubblica e soprattutto le consentiva di credere che il principato non si sarebbe trasformato in dispotismo di stampo orientale.

Gli immediati successori di Augusto, appartenenti alla dinastia Giulio-Claudia, si scontrano spesso con l’aristocrazia che, pur non disponendo di forze sufficienti a rovesciare il principato, manifesta la propria nostalgia per i «bei tempi» della repubblica (quando essa esercitava un potere preponderante) opponendosi efficacemente al dispotismo di imperatori come Caligola e Nerone. A loro volta i principi reagiscono alle congiure aristocratiche col terrorismo e aprono larghi vuoti nelle file della nobilitas, già in via di estinzione per scarsa prolificità. L‘opposizione non riesce comunque ad arrestare lo sviluppo delle istituzioni imperiali, che anzi si consolidano perché garantiscono un rapporto più equilibrato fra le classi sociali e assicurano alle province un trattamento meno iniquo.

Sotto il profilo culturale rispetto all’età augustea, periodo nel quale fiorì un numero impressionante di capolavori letterari - si pensi alle opere di Virgilio, Orazio ed Ovidio - questa età potrebbe sembrare come un periodo di stasi, per il mutamento degli interessi, per la sensazione di irraggiungibilità che quelle opere ispiravano, per il desiderio stesso di cambiare. Un grande influsso lo ebbe la filosofia stoica che promuove una visione universale, ecumenica delle problematiche sociali politiche.

Lo stoicismo nel I secolo d.C. soppiantò gradualmente l’epicureismo, divenendo la filosofia predominante: il sapiente del periodo greco fu reinterpretato come cittadini esemplare, che si conforma alle leggi dello Stato romano e che non si piega alle avversità del Fato; sopporta tutto con fermezza, accettando persino il suicidio, quando il gesto estremo si presenta come l’unico mezzo per sfuggire a tutto ciò che offenda la dignità dell’uomo e del cittadino.

La pratica della filosofia fu intesa allora come ricerca interiore di fronte al mistero della vita e della morte, ma anche come conquista della libertà di fronte alla tirannide. L’opposizione politica dei senatori al principe, non avendo spazi istituzionali per manifestarsi, divenne opposizione filosofica ed intellettuale che ebbe come portavoce i maggiori esponenti della panorama culturale del tempo.

Persio: pensiero

Lo sdegno di Persio contro la società e la ferocia con la quale rappresenta i vizi dell’epoca hanno una scelta profonda: provenendo da una famiglia di nobili origini, il suo destino avrebbe dovuto portarlo verso la carriera politica. Persio invece rifiuta questa strada perché egli rappresenta parte di quella gioventù che provava un profondo disagio nei confronti della politica tradizionale, ormai svuotata di qualsiasi significato.

Legato agli Annei e a Trasea Peto (un oppositore del regime condannato a morte dall’imperatore nel 60), profondamente influenzato dalla filosofia stoica, Persio pur essendo ancora legato ai valori della tradizione, era altrettanto convinto della loro inadeguatezza nei confronti della situazione politica. E’ dunque l’indignazione prodotta da questo stato di cose che porta Persio alla scelta della satira come strumento di denuncia della società e di contrapposizione alle mode letterarie del tempo, anche rischiando il discredito e l’isolamento dei potenti. Egli, infatti, si definisce semipaganus, fingendo di considerarsi con ironica modestia, un poeta rozzo e “mezzo campagnolo”, in confronto invece al poeta-vate dotato di divina ispirazione.

Persio mantiene le distanze quindi dal panorama culturale e letterario dell’epoca, che privilegiava generi quali l’epica e la tragedia, dove i poeti potevano usare a profusione tutti gli artifici retorici possibili, mezzi espressivi privilegiati per tessere le lodi del principe.

Secondo Persio, invece, scopo della poesia non è guadagnare vantaggi o compiacere il principe, ma conquistare la libertas, la libertà morale. In relazione a questo scopo i generi letterari di successo all’epoca non solo sono inutili, ma anche dannosi: se infatti la libertà si ottiene conoscendo la realtà contemporanea e rifiutandola, questo tipo di poesia non può condurre alla libertà, perché con le sue artificiosità si tiene lontano dalla vita e addirittura partecipa ai suoi vizi.

La scelta dunque dei toni aggressivi della satira diventa quasi una scelta obbligata, da motivi politico-sociali e letterari poiché la gravità della situazione storica rendeva inefficace una critica bonaria con i mezzi dell’umorismo alla maniera di Orazio.

Opere di Persio: opere

Persio si cimenta nel generare letterario della satira, che nell’antichità indicava qualcosa di diverso dalla “satira” attuale. Il genere satirico ha un’origine molto antica, legato alle manifestazioni del mondo popolare. Il termina satira ha di per sé un’origine ignota: secondo alcuni deriverebbe dal nome di un piatto misto la satura lanx; secondo altri farebbe riferimento alla lex satura, un provvedimento legislativo basato su stralci di varie e diverse leggi. Comunque in entrambe le opzioni è chiaro il riferimento alla varietà e all’eterogeneità che caratterizzava appunto questo genere letterario.

Esso presentava una grande libertà nei temi e nel linguaggio: inventor del genere viene considerato Lucilio (II sec a.c), il quale attraverso le sue Satire diede espressione alla sua polemica morale, etica e politica attraverso l’espressione cruda e popolareggiante che ha ovviamente un legame diretto con la cultura popolare romana. Riallacciandosi a questa tradizione, ripresa poi da Orazio in età augustea, Persio dà voce al suo sdegno nei confronti del mondo e della società.

Le satire: riassunto

Satira I: il poeta dichiara di voler parlare dei vizi del suo tempo. Come già Lucilio e Orazio la sua poesia vuole essere strumento di verità, lontana dalle inutili raffinatezze della poesia ellenistica.

Satira II: il poeta si scaglia contro le pratiche della religione, biasimando i sciocchi superstiziosi, che credono quasi corrompere le divinità con sacrifici sfarzosi, mentre invece gli dei prestano ascolto le preghiere degli animi sinceri e giusti.

Satira III: spesso definita la satira del “giovin signore” in omaggio a Parini, qui Persio suggerisce ad un giovane che ha trascorso la notte nei bagordi di dedicarsi invece allo studio, attraverso il quale si conseguono conoscenza e saggezza.

Satira IV: Socrate suggerisce ad Alcibiade di mettere in pratica il principio del conosci te stesso, in quanto esso rappresenta l’impegno essenziale per chi dirige lo stato.

Satira V: è la satira più lunga dedicata al suo maestro, Anneo Cornuto, di cui tesse un accorato elogio.

Satira VI: è dedicata a Cesio Basso. Mentre il destinatario si trova in Sabina, il poeta è a Luni, in Liguria, dove è possibile stare in pace con sé stessi. Dal tema del paesaggio rasserenante si passa a quello filosofico del “giusto mezzo” oraziano.

La poetica della satira

In conformità con la concezione stoica, la letteratura ha per Persio un compito etico e il ruolo che egli assume è quello della denuncia: avendo come punto di riferimento i valori del mos maiorum, egli sembra sapere cosa sia giusto e cosa sia sbagliato e si scaglia con forza contro il vizio. Emblematici sono i termini che egli usa per indicare l’operazione di demistificazione della realtà da lui compiuta attraverso la scrittura: radere, defiggere, revellere (grattare, inchiodare, strappare), esprimono chiaramente la sua intenzione di sferzare i costumi, bollare il vizio e grattare via la crosta delle ipocrisie ad una società corrotta.

Sebbene la sua poesia nasca da una forte polemica contro il mondo, la sua opera scarseggia di spunti autobiografici, ma in compenso ci offre squarci della vita quotidiana a Roma: i personaggi sono da lui ritratti con realismo, come ad esempio l’avaro nella satira V la cui figura tradizionale viene attualizzata con l’elenco delle merci che egli importa dal Ponto Eusino; o la figura del gaudente vizioso nella satira IV viene rappresentato come uno dei tanti ricchi della società imperiale, ovvero accuratamente depilato, unto di olio, e maniaco dell’abbronzatura.

Stile di Persio

Anche lo stile rivela l’asprezza dei contenuti: il linguaggio di Persio è molto lontano dalle mode letterarie del tempo e dalla poesia-gioco, che saziava il palato di un pubblico involgarito che si divertiva con un linguaggio infarcito di banalità, quale poteva essere quello forzatamente patetico dell’epica o della tragedia, oppure quello sdolcinato della lirica.

All’oscurità dello stile si accompagna una struttura complessa: Persio procede, infatti, per nessi e accostamenti analogici, “saltando” da un argomento all’altro, portando così a livelli esasperati la struttura dialogica della satira oraziana, che si limitava a dare l’idea della conversazione quotidiana.

Il lessico passa dalla sobrietà oraziana ad un anticlassicismo audace. Nella satira V Persio dichiara di voler fare uso di un linguaggio comune in grado di denunciare e sferzare il vizio. In realtà però la sua lingua presenta una certa distanza rispetto al livello del linguaggio comune. L’espediente tipico della sua scrittura è la iunctura acris, cioè il nesso insolito e audace tra parole, che richiama, con esiti però esagerati, la callida iunctura oraziana.

Ecco alcuni esempi di questo espediente linguistico:

  • pallentes mores (pallidi costumi Satira V, 15): un’espressione che indica il pallore delle persone corrotte;
  • vaporata aure (letteralmente: con le orecchie ripulite dal cerume con i vapori caldi, Satira I, 26), usata per definire un lettore che ascolta con molta attenzione;
  • despumare Falernum (Sat. III, 3) che vuol dire smaltire il vino, e non “schiumare il vino”.

Le associazioni quindi tendono a volte verso una spettacolarità barocca, che rende difficile l’interpretazione.

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