Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello: analisi del testo

Il fu Mattia Pascal: riassunto, commento, analisi del testo di una delle opere più famose di Luigi Pirandello. Trama, personaggi, sviluppo

Il fu Mattia Pascal di Luigi Pirandello: analisi del testo
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IL FU MATTIA PASCAL, ANALISI

Il fu Mattia Pascal è uno dei romanzi più noti di Luigi Pirandello
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Il fu Mattia Pascal è considerato da sempre uno dei romanzi più famosi e importanti di Luigi Pirandello, per il suo contenuto e le sue tematiche, tanto care all'autore. Lo scrittore siciliano ha dato infatti forma al testo a seguito della grave crisi familiare del 1903, che ha posto Pirandello in cattive condizioni economiche ed ha scatenato la malattia mentale della moglie: l’allagamento della miniera d’Aragona, nella quale il padre Stefano aveva impiegato non solo i propri ingenti capitali ma anche la dote di Antonietta.

Il romanzo è stato pubblicato a puntate fra l’aprile e il giugno del 1904 sulla Nuova Antologia. Sempre nel 1904 il romanzo è stato pubblicato in volume e poi altre volte, con ritocchi e modifiche, prima a Milano, presso Treves nel 1910 e 1912, poi a Firenze, presso Bemporad nel 1921, con l’aggiunta, in quest’ultimo caso, di un’Avvertenza sugli scrupoli della fantasia in cui l'autore discute della verosimiglianza della trama, invitando il lettore a sviluppare un certo senso critico.

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IL FU MATTIA PASCAL, STRUTTURA

Il romanzo consta di 3 parti, che corrispondono a 3 diversi modelli di romanzo.

Il fu Mattia Pascal: Prima parte

La storia comincia dalla fine della vicenda vissuta: ormai estraneo alla vita, già “fu Mattia”, il protagonista racconta in prima persona la propria storia.

La struttura è ciclica: nei primi due capitoli, costituiti da due Premesse teoriche, e negli ultimi due, in cui si narra la trasformazione del protagonista nel “fu Mattia”, il personaggio principale è già, per l’appunto, “fu Mattia”. Nei primi due capitoli Mattia Pascal, il protagonista, vive in uno stato di non-vita, in una condizione di acronia, di immobilità e di totale estraneazione rispetto all’esistenza, in un tempo fermo e in uno spazio morto (quello di una biblioteca che nessuno frequenta e a cui egli dovrebbe accudire). Qui il modulo narrativo è quello dell’antiromanzo, che esclude qualsiasi possibilità di svolgimento.

Il fu Mattia Pascal: Seconda parte

La seconda parte è un secondo romanzo nel romanzo. Il protagonista è il giovane Pascal. Qui il modello di romanzo è quello idillico-familiare: il luogo è campestre, vicino al paese di Miragno, lontano dalla moderna civiltà industriale. Tuttavia, questa vi penetra attraverso la figura dell’amministratore-ladro Batta Malagna che pone in crisi il precedente equilibrio idillico, depauperando pian piano il patrimonio familiare di Mattia e della madre. Per vendicarsi di lui, Mattia seduce Romilda da cui il vecchio amministratore vorrebbe un figlio. La beffa erotica, che il protagonista vorrebbe tendere all’amministratore, si complica per il fatto che Mattia ingravida anche la moglie di Batta Malagna, Oliva. A questo punto il beffatore finisce beffato: mentre Malagna riconosce come proprio il figlio di Oliva, Mattia deve accettare come moglie Romilda, che invece puntava a farsi sposare dal ricco amministratore. L’inferno della nuova vita coniugale, la difficoltà economica in cui cade la nuova famiglia di Mattia, le disgrazie (muoiono la madre di Mattia e le due gemelle avute da Romilda) inducono Mattia a pensare al suicidio.

Per una risoluzione improvvisa, il protagonista decide di recarsi a Montecarlo e di giocare alla roulette. Vinta un’ingente somma al gioco, decide di tornare al suo paese ma, durante il viaggio di ritorno in treno, apprende dal giornale di essere stato riconosciuto dalla moglie e dalla suocera in un cadavere in stato di putrefazione trovato nella gora di un mulino di Miragno. Così, decide di approfittare di tale accadimento, si fa passare per morto e si entusiasma all’idea di poter cambiare identità e di poter iniziare una nuova vita libera dai vincoli e dagli oneri caratterizzanti la precedente.

Il fu Mattia Pascal: Terza parte

Il tema dell'identità è sempre al centro dell'opera di Pirandello
Fonte: ansa

A questo punto inizia la terza parte del romanzo e il terzo romanzo nel romanzo. Questa volta il modello è quello del romanzo di formazione. Protagonista del terzo romanzo è l’incarnazione di Pascal, il quale assume il nome di Adriano Meis, cercando di costruirsi un nuovo io e di vivere in completa libertà, senza più obblighi di sorta. Dopo aver soggiornato per qualche tempo a Milano e, dunque, aver fatto l’esperienza della modernità in una metropoli industriale, Adriano Meis si reca a Roma, trova sistemazione nella pensione di Anselmo Paleari e s’innamora della figlia di quest’ultimo, Adriana, che il cognato Papiano insidia. Ma i timori che venga scoperta la sua vera identità e l’impossibilità di avere uno stato civile che renda possibile il matrimonio con Adriana lo angosciano incessantemente.

Per non farsi riconoscere, si fa operare all’occhio strabico. E, tuttavia, per non essere scoperto, deve rinunciare a denunciare un furto che, durante una seduta spiritica, subisce ad opera di Papiano. Dopo aver capito di non poter sposare, in alcun modo, Adriana, per allontanarla da sé, inizia a corteggiare la fidanzata di un pittore spagnolo ed è, da questi, sfidato a duello. Privo d’identità, non riesce però a trovare i padrini necessari per battersi. Così, estenuato da tante difficoltà, decide di fingere il suicidio nel Tevere e quindi di andare incontro alla sua seconda morte. Lo slancio verso la riconquista di un’originaria purezza e autenticità falliscono: la vita deve comunque darsi una forma e la fatica che bisogna affrontare per crearne una nuova e sostenerne i condizionamenti e i compromessi è spesso così grande che costringe a rientrare precipitosamente nella vecchia. La vecchia vita, pur con i suoi originari limiti e le sue falsità, impedendoci di essere altro da noi, allontanando il rischio della disgregazione, rende possibile l’esistenza, inchiodandoci ad una realtà sì fittizia ma inalienabile.

IL FU MATTIA PASCAL: ROMANZO DI FORMAZIONE

Si può dunque definire Il fu Mattia Pascal non un romanzo di formazione bensì un antiromanzo di formazione, in cui la formazione, appunto, del protagonista, nel corso della vicenda, fallisce. Finto il suicidio nel Tevere, si rientra nel primo romanzo, quello di cui è protagonista il “fu Mattia”. Fuggito da Roma, egli torna a Miragno, dove trova Romilda sposata all’amico Pomino e, peraltro, con una figlia avuta da costui.

Rinuncia allora a vendicarsi contro di lei e ad avvalersi della legge (sarebbe lui il legittimo marito della donna). Decide invece di restare a Miragno “come fuori della vita”, trascorrendo il resto dei suoi giorni tra la biblioteca di Santa Maria Liberale, godendo della compagnia del solo don Eligio Pellegrinotto, e la casa della zia Scolastica, rimasta sola dopo la morte della sorella e madre di Mattia. Ormai Mattia è diventato un personaggio, una maschera nuda: non vive più, si guarda e guarda gli altri vivere.

A don Eligio, che trova il significato della storia nella necessità di una accettazione dello stato civile, il “fu Mattia” obietta di non essere assolutamente rientrato nella “legge”, nel sistema delle convenzioni sociali, né di avere la pur minima intenzione di rientrarvi. Insomma, Mattia ha capito che la vera identità non esiste, né questa, d’altra parte, può essere conferita da uno “stato civile”, che semmai riduce l’uomo a maschera, a forma. In definitiva, non resta altro che porsi al di fuori della vita, in una condizione di estraneità e di distacco da ogni meccanismo sociale. Pascal tronca qualsiasi rapporto vitale con la “normale” esistenza.

Ne deriva una duplice conseguenza: da un lato il protagonista, collocandosi fuori dal flusso dell’esistenza, non può più affidarsi alle sensazioni naturali e si pone in un atteggiamento di studio, di distanziamento umoristico, di riflessione astratta; dall’altro il romanziere, prendendo atto della fine del personaggio come eroe e come persona, tende irresistibilmente a trasformarlo in una figura di tale ricerca e dunque in un’astrazione personificata. D’altronde, se il significato non è più nelle cose, il soggetto non può più vivere all’unisono con esse. Il fu Mattia Pascal è il romanzo allegorico della fine dell’identità e della morte della persona.

IL FU MATTIA PASCAL, TEMI

All'interno del testo pirandelliano si ritrovano diversi temi. Ecco i principali.

La famiglia

La famiglia è sentita come nido o come prigione. È un nido la famiglia originaria, fondata sul rapporto di tenerezza fra Pascal e la madre e sentita come idillio minacciato dall’avidità dell’amministratore; è una prigione il rapporto coniugale con Romilda e quello con la suocera, la terribile vedova Pescatore. In questo secondo caso, sembra possibile solo l’evasione. Si riflette in ciò un elemento autobiografico: l’idealizzazione della madre è costante in Pirandello e si accompagna, invece, all’esperienza infelice del matrimonio.

Il gioco d'azzardo e lo spiritismo

Pirandello rappresenta minuziosamente il casinò di Montecarlo, nei pressi di Nizza, dove Mattia vince alla roulette divenendo improvvisamente ricco. La descrizione del luogo ha del reportage giornalistico e doveva servire a stimolare la curiosità del lettore borghese nei confronti di un posto favoloso e “proibito”. Per di più esso affascina Pirandello perché l’importanza del caso e il potere della sorte contribuiscono a rafforzare la sua teoria della relatività della condizione umana, sottolineando i limiti della volontà e della ragione.

Inoltre, non si può non parlare dell’interesse di Pirandello per lo spiritismo, molto diffuso fra Ottocento e Novecento: la crisi del razionalismo positivista induceva infatti a occuparsi dei fenomeni non spiegabili scientificamente.

L'inettitudine

Il protagonista non fa tesoro dell’esperienza accumulata nella prima parte della sua vita, prendendo le distanze dal sistema che ha provocato il suo fallimento: è in cerca di un’altra possibilità per realizzarsi, ma sempre all’interno dello stesso sistema e mantenendone invariate le condizioni. Mattia è l’emblema dell’uomo moderno: è un inetto, un velleitario che pretende di dare una svolta alla propria vita occupandosi solo di curare i mutamenti esteriori e tralasciando di lavorare, invece, sulla propria interiorità. Ma la vera libertà non dimora lungo tale via. Il fatto che Mattia fugga dalla realtà e dalla possibilità di una reale evoluzione interiore fa sì che l’evasione tanto anelata da Mattia sia impossibile ed è inevitabile che egli si trasformi in un antieroe, reso inadatto alla vita pratica dalla sua stessa tendenza allo sdoppiamento, dalla sua propensione a vedersi vivere e, in sostanza, dalla sua estraneità nei confronti della vita e di se stesso.

Lo specchio, il doppio, la crisi d’identità

Mattia Pascal ha un rapporto difficile non solo con la propria interiorità ma anche con il proprio corpo: ha difficoltà a identificarsi con se stesso. Spia di questo malessere è l’occhio strabico, che guarda sempre altrove. La crisi d’identità dipende anche dalla sua duplicità, rappresentata dalla sua predisposizione a sdoppiarsi e dalla sua inclinazione a porsi davanti allo specchio. Un particolare curioso è la ripetizione, per due volte, di alcune situazioni: Mattia Pascal seduce prima Romilda, poi Oliva; muore due volte; per due volte si dà una nuova personalità, prima come Adriano Meis , poi come “fu” Mattia Pascal.

E ancora: si sostituisce spesso ad un “alter ego”, a un “doppio” di sé: per esempio si sostituisce a Pomino nell’amore di Romilda e poi è questo stesso amico a sostituirsi a lui come marito; infine, Mattia tende sempre a ripetere la stessa situazione collocandosi come terzo all’interno di un rapporto di coppia: si inserisce tra Malagna e Romilda, e anche fra la ragazza e Pomino, innamorato di lei; poi fra Adriana e Papiano; infine tra il pittore spagnolo e la fidanzata e, di nuovo, tra Romilda e Pomino. Tutto ciò concorre a considerare il nostro romanzo come una successione di specchi, successione peraltro connaturata alla riflessione umoristica.

La modernità, la città, il progresso, le macchine

Nel capitolo IX Adriano Meis è a Milano e, frastornato dai rumori, dai tram elettrici (introdotti da poco) e dalla vista della folla, riflette sulle conseguenze del progresso tecnico, negando che la felicità sia favorita dallo sviluppo scientifico e che le macchine possano realmente servire a migliorare la condizione dell’uomo. Nel capitolo successivo si sposta da Milano a Roma.

La capitale viene descritta come città morta, paralizzata da un contrasto insanabile fra il glorioso passato e lo squallido presente incapace di farlo rivivere. Roma è un’acquasantiera che la modernità ha degradato trasformandola in portacenere.

LA FILOSOFIA DEL FU MATTIA PASCAL

Per quanto riguarda le posizioni filosofiche, esse sono esposte per bocca di Anselmo Paleari nel capitolo XIII, intitolato "Il lanternino". Secondo Pirandello l’idea del mondo varia non solo da individuo a individuo, ma, nella stessa persona, a seconda del momento e dello stato d’animo. Poiché, però, l’uomo ha bisogno di verità assolute, egli vuole credere che i propri valori siano certi e che la realtà sia oggettiva: invece sia quelli che questa non sono che proiezioni soggettive. Solo per autoinganno, l’uomo può ritenere che la luce del “lanternino” della propria coscienza sia la luce stessa delle cose.

Ne deriva il carattere illusorio di qualunque certezza, anche di quelle date dalla religione e dalla scienza. A complicare le cose, va aggiunto che gli stessi “lanternini” delle coscienze individuali cessano d’illuminare il cammino nei momenti di trapasso e di crisi: essi prendono luce dai “lanternoni”, cioè dalle grandi ideologie collettive che orientano l’umanità e che sono storicamente determinate. Quando i “lanternoni” cessano di far luce a causa dello sviluppo storico, che rende improponibili i valori del passato, allora anche i “lanternini” si spengono: Pirandello riconduce una situazione ontologica, cioè dovuta all’eterna condizione umana, ad una specifica condizione storica, la crisi di fine secolo delle ideologie.

IL FU MATTIA PASCAL, PERSONAGGI

Ecco i principali personaggi del romanzo:

  • Mattia Pascal (Adriano Meis): è il protagonista – narratore; un bibliotecario che svolge quotidianamente un lavoro normale, forse anche troppo; riflette sulle sue azioni, le giudica e le motiva; segue le vicende della sua vita, è partecipe del racconto e cerca di far luce nel groviglio dei casi, la sua figura perde ed acquista caratteristiche dei due personaggi che porta dentro di sè, facendo apparire Adriano Meis come una figura disarticolata di uomo ombra. Il suo carattere gli impedisce di vivere al di fuori delle strutture sociali e dallo stato civile. Nei panni di Mattia appare come un uomo di carattere impulsivo, vivace, ma confusionario, a differenza di quando si “trasforma” in Adriano Meis, dove si scopre uomo molto sensibile; ama Adriana, donna che vorrebbe sposare, ma non può a causa della sua “non esistenza”.
  • Madre del protagonista: è una persona fiduciosa verso il prossimo, credente, chiusa ed introversa, affezionata alla sua piccola vita quotidiana. È semplice e dolce, non vuol mai far notare la sua presenza, quasi per non dare fastidio.
  • Zia scolastica: zia battagliera, fiera, che si contrappone alla figura della madre a causa delle sue scelte decise ed immediate.
  • Malagna: è l’amministratore dei beni della famiglia Pascal, che però, invece di sorvegliarli e di indirizzarli a favore della famiglia, cerca in ogni modo di impossessarsene, tradendo la fiducia della madre di Mattia Pascal.
  • Romilda: è la moglie del protagonista; è una ragazza vittima della perfidia della madre, che le impone di ingannare Mattia. Ha due figlie dal marito. È timida, gelosa e non sopporta le condizioni misere in cui è costretta a vivere, arrivando fino ad ammalarsi. Dopo la “morte” del marito, si sposa con un amico di lui (Pomino), dal quale ha una figlia. Ma il suo animo non è cattivo; infatti al ritorno di Pascal è quasi dispiaciuta per quello che gli è successo.
  • Marianna Dondi (vedova del pescatore): è la madre di Romilda; ha un temperamento intrigante e furioso, non sopporta il genero, che giudica inetto e scapestrato, perché non riesce a mantenere la sua famiglia, e quindi indegno di sua figlia. Fa diventare la vita di Pascal insopportabile. È dura con il genero anche quando questi ritorna al suo paese, avendo pensato, dopo la sua morte, solo alle sostanze materiali, dimenticandosi del tutto della sua esistenza.
  • Anselmo Paleari: caposezione ministeriale a riposo, padre di Adriana, uomo sbadato, con la testa fra le nuvole, che pensa soltanto alle sue riflessioni sulla teosofia, sui medium e sull’aldilà. È una persona onesta ed ingenua, molto impressionabile e credulona. Rappresenta un personaggio strumentale, non si accorge di quello che gli accade attorno, ma nonostante tutto vuole molto bene a sua figlia.
  • Terenzio Papiano: genero del Paleari, è una persona molto avida, amante, oltre che sfruttatore della signorina Caporale. Ha un comportamento “untuoso”, subdolo, loquace e dallo sguardo indagatore; ha un profilo ipocrita, intrigante nei confronti del suocero, ladro. Si serve del fratello epilettico come strumento dei suoi traffici.
  • Signorina Silvia Caporale: ha anche lei una camera nella pensione e dà qualche lezione come maestra di canto. È alcolizzata e zitella, ha una personalità debole e ogni volta che rientra dopo aver bevuto o quando si dispera per la sua condizione di zitella ed il suo aspetto fisico tocca ad Adriana farle da “mammina”. È l’amante e la complice di Terenzio Papiano, dal quale è sfruttata, ma alla fine si ribella per aiutare Adriano ed Adriana come può.
  • Adriana: figlia del Paleari, è l’affittuaria di Adriano Meis, del quale è innamorata. Ha una personalità molto sensibile, ma allo stesso tempo armata di candore, innocenza, ansia e attesa di affetto. Manda avanti da sola la casa ed è dispiaciuta per il comportamento del padre; riesce a continuare il suo lavoro grazie anche alla sua fede nella religione. Non da molta confidenza, vuol nascondere il suo amore per Adriano Meis e non sopporta i soprusi di Terenzio.
  • Pomino: nuovo marito di Romilda, ha una personalità debole; è molto avaro, insicuro e geloso.
  • Don Eligio Pellegrinotto: prete amico dell’autore che lo aiuta ad ordinare la biblioteca Boccamazza, dove Mattia lavora. È colui che gli fa venire l’idea di scrivere.
  • Lo spagnolo: brutto ceffo che Mattia incontra a Montecarlo; è un amico di Terenzio Papiano.
  • Pepita Pantogada: nipote dello spagnolo, bella, con un carattere prepotente e forte.

IL FU MATTIA PASCAL, COMMENTO

Il fu Mattia Pascal è stata l’unica opera di Pirandello, prima dei successi teatrali, a godere di larga fortuna di pubblico.

Il romanzo è stato tradotto quasi immediatamente in tedesco (1905) e poi in francese (1910) e in inglese (1923). Ha avuto notevole influenza su Tozzi, che in un saggio del 1918 ha scritto: “Pirandello giunge, qualche volta, all’intensità dell’assurdo; e il suo romanzo, Il fu Mattia Pascal, è la cosa più seria che si possa leggere, sebbene la meno reale, perché posa tutta in un continuo di astrazioni verosimili”. La critica del primo Novecento ha mostrato invece scarso interesse per il romanzo.

La vera fortuna critica del romanzo inizia all’inizio degli anni Sessanta quando Giacomo Debenedetti dedica le sue lezioni universitarie al romanzo, interpretandolo in chiave psicoanalitica, e Leone de Castris pubblica una monografia, d’impianto rigorosamente storicistico, su Pirandello. Gli autori della neoavanguardia vedevano ne Il fu Mattia Pascal e nelle altre opere pirandelliane dei modelli di narrativa sperimentale per loro attuali. Fra i narratori della neoavanguardia, Luigi Malerba è certamente quello che più si è ispirato al romanzo di Pirandello. La critica recente è andata sempre più riconoscendo importanza a Il fu Mattia Pascal e ha riservato ad esso un posto in prima fila tra le opere della letteratura internazionale di tutti i tempi.

IL FU MATTIA PASCAL, APPROFONDIMENTO

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