Guida alle poesie di Eugenio Montale

Le sue raccolte di poesia rappresentano il suo stile e la sua poetica. Qui tornano le tematiche principali delle sue idee. Guida alle poesie di Eugenio Montale

Guida alle poesie di Eugenio Montale

EUGENIO MONTALE: POESIE - Nel corso degli anni Eugenio Montale ha realizzato varie raccolte di poesia, che rappresentano il suo stile e la sua poetica e nelle quali tornano tutte le tematiche principali delle sue idee. La prima raccolta si intitola Ossi di Seppia e comprende le liriche composte a partire dal 1916. La prima edizione apparve nel 1925, mentre quella definitiva è del 1942. Gli “ossi di seppia”, che danno il titolo all’intera opera, simboleggiano l’aridità dell’intero universo montaliano. Essi possono galleggiare felicemente nel mare, simbolo della felicità, oppure essere condotti sulla spiaggia come dei relitti. La prima possibilità risulta sempre più difficile da attuarsi; tende ad imporsi, invece la seconda situazione: come l'osso di seppia gettato sulla terra, il poeta è esiliato dal mare, escluso dalla natura e dalla felicità.


ossi_seppiaI due simboli dominanti sono, dunque, il mare e la terra. Il primo, che attrae e respinge, è il luogo dell’indifferenziato, della beatitudine naturale e della libertà. La seconda è la sede della privazione, dell’esilio, del rapporto sociale e del sacrificio. La terra è il luogo-emblema dei limiti della condizione umana. Per una verifica esteriore, basta guardarsi intorno per scoprire il “male di vivere”. Nelle liriche vi è un ripensamento all’incanto dei paesaggi dell’infanzia e dell’adolescenza contrapposto al disincanto di quelli della maturità. E’ una contrapposizione tra la pienezza di un rapporto solido ed organico dell’uomo con il cosmo ed una condizione di spaesamento e di frammentazione che ora investe non solo la realtà oggettiva ma anche quella soggettiva. L’anima è, in tal modo, ritratta “divisa” ed “informe”.

All’uomo non resta che accettare “senza viltà” la vita su una terra desolata e su un universo disgregato e franante. Le liriche risultano circoscritte nelle linee di paesaggi che appartengono per lo più alla Liguria. Essi sono nudi, aridi, desertici, poveri di colori, rocciosi e sempre bruciati da un sole implacabile che ne rende quasi allucinati e irreali i contorni, caricandoli di valenze metafisiche ed esistenziali. Il poeta ne spia le forme e si sofferma ad ascoltarne le voci con un atteggiamento attonito e meditativo. Ogni paesaggio è scrutato dall’autore nel suo aspetto fisico e metafisico, nel suo essere cosa materiale e al tempo stesso essere simbolo della condizione umana di dolore e di ansia.

Montale vede nel mare il simbolo della sua ansia svuotarsi d’ogni peso, liberarsi dalla vergogna e dalla miseria. Sussiste, tuttavia, un segreto per tutte le cose, le quali costantemente rinviano soltanto a vicende di vita o di morte, di gioia o di dolore che ritorna sempre chiudendosi su se stessa, liberando soltanto una fragile speranza di felicità. Neppure la memoria, oscurata e cancellata dall’inesorabile scorrere del tempo, riesce a dare conforto all’autore. Il linguaggio è aspro ed essenziale, con un tono discorsivo e colloquiale.

A questo proposito Montale sceglie, appunto, di “torcere il collo” all’eloquenza, magari a rischio di una “controeloquenza”: è la scelta di uno stile aspro e arido che vorrebbe aderire alla realtà delle cose al di là dell’inganno delle convenzioni linguistiche.

Tuttavia, nell’opera si incontrano momenti di alti e bassi e contrasti tra toni colloquiali e toni aulici. Questo doppio registro giunge all’apice nelle poesie degli anni più maturi in cui il Montale fisico e metafisico, il poeta realistico e impressionistico e quello astratto, pervengono ad una sintesi più elevata. Anche la metrica subisce un’evoluzione. Infatti, mentre nelle prime poesie l’autore sfrutta ironicamente i ritmi tradizionali, nelle successive assistiamo ad un recupero in chiave moderna della tradizione (alternarsi tra versi endecasillabi e settenari).

La poetica di Montale

Dopo un’introduzione intitolata In Limite, che racchiude il messaggio dell’opera, Ossi di Seppia risulta articolata in sette sezioni che hanno tutte un titolo proprio:

  • Movimenti, che raccoglie le poesie più antiche, è una sezione tutta giocata sull’opposizione tra mare e natura, infanzia e terra, città e maturità;
  • Poesie per Camillo Sbarbaro, dal quale deduce la poetica dell’uomo fallito, esiliato e abbandonato;
  • Sarcofaghi, di influsso foscoliano e leopardiano;
  • Altri versi;
  • Ossi di Seppia, 22 liriche brevi in cui viene attuata definitivamente la nuova poesia metafisica di Montale e che costituiscono il corpo vero e proprio dell’opera. In esse domina il motivo dell'osso di seppia abbandonato e della frantumazione dell’equilibrio tra l’uomo e la natura. Di qui la disarticolazione della realtà, che si riduce a un folto, un ingorgo di oggetti. Resta solo, come riscatto dalla depressione, la possibilità della lucida e “Divina Indifferenza”. Per questo il messaggio del poeta non può essere negativo. Sul piano formale la sezione "Ossi di seppia" è abbastanza unitaria e comprende soltanto testi brevi;
  • Mediterraneo, questa sezione consiste in un poemetto unitario interamente ispirato al mare. Esso è articolato in nove momenti: i primi tre cantano il mare come “patria sognata” e come “paese incorrotto”, mentre gli ultimi registrano il triste distacco da esso;
  • Meriggi e ombre, scritta durante gli anni fascisti, questa è la sezione che comprende i testi di più alto impegno intellettuale. Non casualmente, essa esordisce con un testo intitolato Fine dell’infanzia e termina con Incontro, nel quale l’io lirico accetta definitivamente il proprio destino di sconfitta e di discesa verso il nulla, chiedendo, però, di poter avere almeno la possibilità di affrontare questa situazione con dignità e "senza viltà". Questi ultimi componimenti esplicitamente anticipano l’opera successiva di Montale: Le Occasioni.

"Ossi di seppia" e "Le occasioni"

Il secondo capolavoro di Montale, Le Occasioni, comprende i testi poetici composti tra il 1926 ed il 1940. La prima edizione esce a Torino nel 1939 ed è seguita da quella definitiva del 1940.

Il titolo allude all’accadere di eventi cui è attribuito un particolare rilievo, in quanto potrebbero mutare il corso uniforme e monotono dell’esistenza. Ma il miracolo non può accadere per il poeta che decide di affidare ad altri, ed in particolare a delle enigmatiche figure femminili, la sua esile speranza. Se negli Ossi di Seppia la poesia montaliana era per lo più risolta nel rapporto tra il poeta e la natura, adesso abbraccia orizzonti più ampi. Tuttavia, nell’ampliarsi delle relazioni, gli elementari simboli di una vita gioiosa vedono offuscare la loro luce.

Si approfondisce il solco che la memoria scava tra i momenti di un passato felice ed un presente sempre più vuoto e smarrito. Il bramato “varco” della speranza appare sempre più lontano, mentre la mente viene aggredita da fantasmi paurosi, da immagini allucinate e da presagi di morte. Questo passaggio dal mondo delle cose ad una dimensione simbolica della memoria, approda in un’ansia metafisica che sarà sempre presente, in seguito, nella produzione montaliana. Questa nuova opera riflette esplicitamente una situazione storica ormai mutata rispetto a quella degli Ossi di Seppia. L’utopia ed il moralismo gobbettiano non trovano più spazio in una società corrosa dal fascismo e dalla guerra che allontana i letterati dal contatto con il pubblico.

Nelle Occasioni, la donna-angelo Clizia assume le funzioni di una salvifica Beatrice dantesca: le sue apparizioni, che si accompagnano a bagliori e a manifestazioni di luminoso splendore, sembrano poter salvare non solo l’autore, ma l’intera società umana. In assenza di Clizia il soggetto appare frustrato e sconfitto, ridotto ad una povera ed impotente pedina sulla scacchiera della storia. La nuova situazione storica da cui deriva una nuova concezione della figura dell’intellettuale, provocano un cambiamento di poetica. Lo stile si innalza e si purifica. Prevale un monolinguismo di matrice petrarchesca accompagnato da infiltrazioni allegoriche di derivazione dantesca.

"Ripenso il tuo sorriso"

Si torna ad una metrica tradizionale, fondata sull’endecasillabo e all’atteggiamento, proprio del poeta lirico, che si rivolge al “tu” della donna amata. Inoltre, Montale subisce fortemente l’influenza della cultura angloamericana e di quella francese (Eliot, Blake, Hopkins, Valery e Baudelaire). Come in Ossi di Seppia, dopo l’introduzione Il Balcone, l’opera risulta divisa in quattro sezioni, ciascuna numerata con una cifra romana:

  • La prima sezione è una sorta di ideale diario di viaggio in cui compaiono complessi personaggi femminili (Gerti, Liuba, Dora Markus), inseriti ancora nell’ambito di paesaggi;
  • La seconda sezione è intitolata Mottetti e corrisponde a quella di Ossi di Seppia del primo libro. I 20 Mottetti richiamano alla luce delle forme musicali di origini francesi risalenti al XVIII secolo. Si tratta di brevi componimenti che solitamente si concludono con delle frasi sentenziose. Essi sono dedicati per lo più a Clizia, alla sua lontananza e all’attesa del suo ritorno. Inoltre in essi il poeta risalta anche il recupero della memoria e la negatività del presente;
  • La terza sezione è rappresentata da un poemetto unitario intitolato Tempi di Bellosguardo nel quale viene trattata la crisi della civiltà letteraria, travolta dalla violenza della storia;
  • La quarta sezione, sempre in analogia con gli Ossi di Seppia, comprende le poesie più complesse ed elaborate. In essa domina l’immagine dell’interno, della casa, dello studio, in opposizione all’immagine di un esterno minaccioso rappresentato dalla città, dal fascismo e dalla guerra.

La bufera ed altro è la raccolta nella quale culmina e nello stesso tempo si esaurisce questa fase della ricerca montaliana. Essa comprende la liriche scritte tra il 1940 e il 1954 ed è stata pubblicata nel 1956. E’ il libro più ricco e più maturo, ma anche il più drammatico che Montale abbia mai scritto nel corso della sua attività. Il titolo allude allo sconvolgimento della guerra che reca una tragica e decisiva conferma al pessimismo montaliano nei confronti della storia. Montale, tuttavia non isola e non privilegia questo avvenimento per ricavarne una lezione o per modificare la sua concezione di poesia, ma sosterrà, invece, che la guerra ha costituito un’esperienza tragica e terribile ma essa è pur sempre stata un avvenimento, tra i tanti che segnano comunque il destino dell’uomo.

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La condizione esistenziale diviene fatto storico. Il male si manifesta in tutto il suo inarrestabile dilagare "or che la lotta dei viventi più infuria" ed ora che gli uomini sono immersi "nella tortura e nei lamenti". Come in un banchetto cannibalesco preparato per la divinità mitica e mostruosa della guerra, si consuma l’olocausto e lo sterminio di milioni di persone. La sfiducia nella storia porterà Montale a non credere più nella speranza di salvezza al punto che il “male di vivere”, osservato con il distacco di un’amara ironia, resterà la cifra più vera dell’esistenza. La simbologia degli oggetti si fa oscura e indecifrabile: l’oggetto diventa una sorta di “talismano” cui è affidato il compito di mediare all’interno del rapporto tra il mondo sensibile e l’inconoscibile. E’ una scelta superstiziosa che costituisce emblematicamente il disperato tentativo di esorcizzare le forze crudeli e nemiche del reale, opponendo loro una barriera tanto debole quanto inconsistente.

Al “tu” di un generico interlocutore si sostituisce la presenza della figura femminile, che diventa il destinatario privilegiato all’interno del contesto. Le donne però, non a caso, vengono cantate soltanto dopo la loro scomparsa, quasi a giustificare come l’assenza diventi la condizione necessaria per sostenere una duplice natura, umana e divina, che offra al poeta una guida verso la salvezza. Queste donne hanno le stesse funzioni di Beatrice, nell’opera dantesca. Ma per Montale non esiste una spiegazione per la natura ultraterrena che dia un senso al rapporto tra l’uomo e la realtà. Né la storia né la religione possono offrire certezze il paradiso è un’ipotesi remota.

Sul piano stilistico si afferma un rigoroso monostilismo, mentre su quello linguistico assistiamo all’abbandono del monolinguismo adoperato nelle Occasioni e alla scelta di un plurilinguismo ricco ed elaborato. Quest’opera è divisa in sette sezioni: Finisterre, Dopo, Intermezzo, Flashes e dediche, Silvae, Madrigali privati, Conclusioni provvisorie.

Nel 1971 Montale pubblica il libro di versi Satura che comprende le liriche scritte dal 1962 al 1970 e che rappresenta una svolta decisiva nella vita e nella poetica dell’autore.

La vecchiaia distacca il poeta dagli avvenimenti e lo conduce verso atteggiamenti più pacati, forse nella definitiva constatazione dell’inautenticità cui l’uomo è condannato. Le poesie vere e proprie di Satura rappresentano il rovescio delle precedenti raccolte. I contenuti restano legati al piano della storia, nei confronti della quale Montale conferma e accentua il suo pessimismo. Ma l’obiettivo polemico è costituito dal presente, dalle aberrazioni di quella società dei consumi che, nella sua corsa verso il benessere, ha perso non solo i propri valori fondamentali, ma anche qualsiasi forma di credibilità. Nella società del “trionfo della spazzatura”, nel quale è l’insignificanza a dominare, non è più possibile distinguere valore e disvalore, alto e basso.

Le tematiche di questa raccolta sono varie e comprendono non solo ricordi e riflessioni sulla morte (soprattutto a proposito della scomparsa prematura della moglie) e anche su spunti di cronaca e di attualità, ma troviamo anche il sarcasmo, l’ironia, la satira, la parodia e talvolta l’autoparodia. In tal modo il titolo latino “Satura” non allude solo agli aspetti di satira politica e culturale, ma rinvia anche alla varietà e alla mescolanza dei temi e degli argomenti spesso suggeriti dalla realtà vera e propria. Nei confronti di queste manifestazioni, Montale conserva un atteggiamento di freddo distacco, che si risolve in duri giudizi di condanna. La satira si risolve così in una sottile ironia, che si fa impietosa e sprezzante, raggiungendo le punte di un feroce sarcasmo.

Accanto al motivo della morte della moglie, da cui nascono le poesie più sofferte e commosse, un altro tema dominante è quello di vivere dopo la catastrofe, dopo un’alluvione che ha sommerso tutti i valori del passato. A causa di tale cataclisma, sono scomparse la contraddizioni ed è tramontata qualsiasi percezione del passato e del futuro. Anche lo stile e il linguaggio variano nel corso dell’opera. Da un lato vengono recuperati il plurilinguismo de La bufera ed altro e l’elemento prosastico degli Ossi di Seppia; dall'altro l’autocoscienza e il rifiuto di vivere nel corso dell’epoca della prosa. Vengono così utilizzate le forme dell’epigramma, dell’aforisma, del racconto, della filastrocca, della battuta, del motto di spirito e della satira, dai quali emerge tutta l’insensatezza del mondo contemporaneo.

La struttura del nuovo libro non è più romanzesca e non è volta a comunicare un messaggio propositivo. Essa si limita a raggruppare i testi in base alle tematiche e alle tonalità espressive. L’opera risulta così divisa in quattro sezioni:

  • “Xenia I” e “Xenia II”, composte di 14 testi ciascuna, sono dedicate alla moglie morta. Queste due sezioni sono state pubblicate in anticipo rispetto a tutta l’opera. Il termine “xenia” vuole indicare, in latino, i doni inviati ad un amico che è stato nostro ospite. Analogamente, in questo caso, il titolo allude a delle offerte votive alla moglie morta. Mosca (pseudonimo della moglie) è celebrata per la sua vitalità e per il fatto di aver capito che la contraddizioni e dualismi inventati dagli uomini sono falsi. Inoltre Mosca ha insegnato al poeta non solo a sopravvivere ma anche a difendersi attraverso l’ironia e il sarcasmo.
  • “Satura I” e “Satura II”, in cui prevalgono temi satirici, polemici, ludici e parodici.
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