Giacomo Leopardi: riassunto

Il pensiero di Giacomo Leopardi in breve: riassunto della poetica e delle opere principali del poeta di Recanati

Giacomo Leopardi: riassunto
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Giacomo Leopardi: riassunto

Giacomo Leopardi
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Giacomo Leopardi, uno dei capisaldi della letteratura italiana, incarna l'archetipo del poeta filosofo, la cui opera esplora gli abissi della condizione umana. Nato nell'era della tumultuosa transizione verso la modernità, Leopardi affronta temi universali come l'amore, la natura, la sofferenza e l'illusione, tutti intessuti nel tessuto delle sue immortali creazioni poetiche.

Cosa c'è al centro del pensiero di Leopardi? Il nucleo del pensiero di Leopardi è il tema dell'infelicità dell'uomo che, secondo il poeta, è causata dalla continua aspirazione ad un piacere infinito ma impossibile da raggiungere. Secondo Leopardi, infatti, nessuno dei piaceri goduti dall'essere umano può arrivare a soddisfare la sua aspirazione al piacere infiito. Si tratta di una tensione inappagata da cui nasce un senso di insoddisfazione perpetua e di infelicità, che porta porta l'individuo a vivere un senso di nullità di tutte le cose (ciò va inteso in senso puramente materiale). L’uomo è dunque necessariamente infelice.

La natura, che in questa prima fase è concepita da Leopardi come madre benigna, ha voluto sin dalle origini offrire un rimedio all’uomo: l’immaginazione e le illusioni. Per questo gli uomini primitivi e gli antichi Greci e Romani, più vicini alla natura, erano felici. Il progresso della civiltà, opera della ragione, ha però allontanato l’uomo da quella condizione privilegiata.

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Leopardi e il Romanticismo - A Silvia, di Giacomo Leopardi

La prima fase del pensiero leopardiano è costruita su questa antitesi tra natura e ragione, antichi e moderni. Gli antichi erano più forti fisicamente e questo favoriva la loro forza morale. La loro vita era più attiva e ciò contribuiva a far dimenticare il vuoto dell’esistenza. La colpa dell’infelicità presente è dunque attribuita all’uomo stesso, che si è allontanato dalla vita tracciata dalla natura benigna. Leopardi dà un giudizio durissimo sulla civiltà dei suoi anni, la vede dominata dall’inerzia e dalla noia. Ne deriva un atteggiamento titanico: il poeta come unico difensore dell’antichità si eleva per sfidare il crudele destino che ha colpito l’Italia. Questa fase del pensiero leopardiano è definita pessimismo storico, ovvero la condizione negativa del presente viene vista come effetto di un processo storico, di una decadenza e di un allontanamento progressivo da una condizione originaria di felicità.

Il pessimismo cosmico

Questa concezione di natura benigna e provvidenziale entra però in crisi: la natura infatti mira alla conservazione della specie e quindi può anche sacrificare il bene del singolo e generare sofferenza. Il male rientra quindi nel piano stesso della natura. È la natura che ha messo nell’uomo quel desiderio di felicità infinita, senza dargli i mezzi per soddisfarlo. Da questo momento Leopardi non concepisce più la natura come madre amorosa, ma come meccanismo cieco, crudele, in cui la sofferenza degli esseri e la loro distruzione è legge essenziale, è una concezione non più finalistica, ma meccanicistica e materialistica.

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La colpa dell’infelicità non è più dell’uomo stesso ma solo della natura, l’uomo non è che vittima innocente della sua crudeltà. Se causa dell’infelicità è la natura stessa, tutti gli uomini sono infelici. Al pessimismo storico della prima fase subentra così un pessimismo cosmico: l’infelicità è legata ad una condizione immutabile di natura. Ne deriva, l’abbandono della poesia civile e del titanismo: se l’infelicità è un dato di natura, vane sono la protesta e la lotta. Subentra infatti in Leopardi un atteggiamento contemplativo, ironico, distaccato e rassegnato. Suo ideale non è più l’eroe antico, ma il saggio antico.

La poetica del vago e dell'indefinito

La teoria del piacere è fondamentale nel pensiero leopardiano: è il nucleo della sua filosofia pessimistica e della sua poetica. Se nella realtà il piacere infinito è irraggiungibile, l’uomo può figurarsi i piaceri infiniti mediante l’immaginazione. La realtà immaginata costituisce la compensazione, l’alternativa ad una realtà vissuta che non è che infelicità e noia. Ciò che stimola l’immaginazione è tutto ciò che è vago, indefinito, lontano, ignoto. Si viene a costruire una vera e propria teoria della visione: è piacevole, per le idee vaghe e indefinite che suscita, la vista impedita da un ostacolo, e contemporaneamente viene a costruirsi anche una teoria del suono. Leopardi elenca tutta una serie di suoni suggestivi in quanto vaghi. Il bello poetico per Leopardi consiste dunque nel vago e nell’indefinito, queste immagini evocano sensazioni che ci hanno affascinati da fanciulli. La rimembranza diviene essenziale al sentimento poetico. Indefinito e rimembranza si fondono: la poesia non è che il recupero della visione immaginosa della fanciullezza attraverso la memoria. Leopardi nella sua produzione in versi segue puntualmente la poetica del vago e dell’indefinito.

Leopardi e il Romanticismo

La teoria del vago e dell’infinito è indispensabile per capire la posizione di Leopardi nei confronti della nuova poetica romantica. La formazione di Leopardi è stata rigorosamente classicista, pertanto nella polemica tra classicisti e romantici Leopardi doveva inevitabilmente prendere posizione contro le tesi romantiche. In realtà le sue posizioni sono molto originali rispetto a quelle dei classicisti: per lui la poesia è soprattutto espressione di una spontaneità originaria, di un mondo interiore immaginoso e fantastico, proprio dei primitivi e dei fanciulli. Leopardi rimprovera agli scrittori romantici un’artificiosità retorica, nella ricerca dello strano, dell’orrido. Rimprovera loro anche l’aderenza al vero che spegne ogni immaginazione. I classici antichi sono per Leopardi un esempio mirabile di poesia fresca, egli li ripropone quindi, come modelli, con uno spirito schiettamente romantico. Si parla perciò di classicismo romantico. Tra le varie forme poetiche Leopardi privilegia soprattutto quella lirica, intesa come espressione immediata dell’io, come canto.

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Le opere

Il periodo successivo al 1819 è ricco di esperimenti letterari. In questo fermento di prove, si concentrano due gruppi di poesie: le Canzoni e gli Idilli. Le Canzoni sono state composte in sei anni e si tratta di componimenti di impianto classicistico, che impiegano il linguaggio aulico e sublime. Le prime cinque affrontano una tematica civile. La base del pensiero è costituita dal pessimismo storico che caratterizza la visione leopardiana. Sono animate da spunti polemici contro l’età presente, pigra e corrotta, incapace di azioni eroiche. Il pessimismo storico giunge a una svolta: si delinea l’idea di una umanità infelice non solo per ragioni storiche, ma per una condizione assoluta. Si incolpano gli dèi e il fato, visti come forze malvagie che si impicciano di perseguitare l’uomo. Ad esse si contrappone l’eroe singolo, che si oppone alla forza crudele che l’opprime a afferma la propria libertà dandosi la morte.

Un carattere molto diverso presentano gli Idilli, sia nelle tematiche, intime e autobiografiche, sia nel linguaggio, più colloquiale e di limpida semplicità. Leopardi ha definito gli idilli come espressione di “sentimenti, affezioni, avventure storiche del suo animo”. Negli Idilli dunque la rappresentazione della realtà esterna è tutta soggettiva. Esemplare è l’Infinito, in cui compare una meditazione lirica sull’idea di infinito creato dall’immaginazione, a partire da sensazioni visive e uditive.

Le Operette morali. Chiusa la stagione delle canzoni e degli idilli, comincia per Leopardi un silenzio poetico che durerà per qualche anno. Egli lamenta la fine delle illusioni giovanili, lo sprofondare in uno stato d’animo di aridità e di gelo che gli impedisce ogni processo di immaginazione. Per questo, dopo la delusione subita nel suo primo contatto con la realtà esterna alla “prigione” di Recanati, nascono le Operette morali, prose di argomento filosofico. Leopardi vi espone il sistema da lui elaborato, attingendo al vasto materiale accumulato nello Zibaldone, ma lo espone attraverso una serie di invenzioni fantastiche, miti, allegorie e paradossi. Molte delle operette sono dialoghi, i cui interlocutori sono creature immaginose, personificazioni, personaggi mitici o favolosi; in altri casi si tratta di personaggi storici, oppure di personaggi storici mescolati con esseri bizzarri o fantastici. In alcune operette l’interlocutore principale è proiezione dell’autore stesso. Altre hanno forma narrativa, altre ancora prose liriche o raccolte di detti paradossali.

Da queste opere risulta la varietà dell’invenzione di Leopardi: anche le invenzioni si concentrano intorno ai temi fondamentali del pessimismo: l’infelicità dell’uomo, l’impossibilità del piacere, la noia, il dolore, i mali materiali che affliggono l’umanità. Con tutto ciò non si ha un’impressione di cupezza: questo grazie allo sguardo fermo e lucido, all’assoluto dominio intellettuale e al distacco ironico con cui Leopardi contempla il vero.

Focus: Riassunto delle Operette morali

I grandi idilli.

Il 2 maggio 1828 si conclude il lungo periodo di silenzio poetico di Leopardi. Il poeta assiste ad un risorgimento delle sue facoltà e lo saluta con un componimento che chiama appunto "Il risorgimento". Seguiranno molte altre opere quali "A Silvia", "La quiete dopo la tempesta", "Il sabato del villaggio", "Passero solitario". Tutti questi componimenti riprendono temi, atteggiamenti e linguaggio degli idilli degli anni passati, caratterizzati dalle illusioni e dalle speranze proprie della giovinezza, le rimembranze, la suggestione di immagini e suoni vaghi e indefiniti. Per questo è nell’uso comune definirli “grandi idilli”. Questi componimenti non sono solo la semplice ripresa della poesia precedente: il moto della memoria ricupera e fa rivivere il passato, ma a questo riaffiorare si accompagna sempre la consapevolezza del vero.

I grandi idilli sono percorsi da immagini liete che al tempo stesso sono rarefatte, assottigliate, costantemente accompagnate dalla consapevolezza del dolore. Tale consapevolezza, però, non ha un potere distruttivo su quelle immagini, il vero è richiamato con delicatezza e riserbo. La caratteristica che individua i grandi idilli è quindi un sapiente equilibrio tra due spinte contrastanti, il “caro immaginar” e il “vero”. Un'altra differenza tra i primi e i grandi idilli è che in questi ultimi non compaiono più gli slanci, i fremiti, gli impeti di disperazione e di rivolta. Leopardi ha assorbito nelle poesie l’esperienza delle Operette, quell’atteggiamento di lucido dominio dinnanzi a una verità immutabile. Il linguaggio si fa più misurato sia nella direzione della tenerezza e della dolcezza, sia nel senso della desolazione. Il poeta non usa più l’endecasillabo sciolto, ma una strofa di endecasillabi e settenari che si succedono liberamente. Questa metrica asseconda perfettamente la vaghezza e indefinitezza delle immagini e del movimento fantastico.

L’ultimo Leopardi

L’ultima stagione leopardiana segna una svolta di grande rilievo rispetto alla poesia precedente. Leopardi ristabilisce un contatto diretto con gli uomini, le idee, i problemi del suo tempo; appare orgoglioso di sé, pronto e combattivo nel diffondere le proprie idee. L’apertura si verifica anche sul piano interpersonale. Nasce a Firenze l’amicizia con Antonio Ranieri e la sua prima vera esperienza amorosa. La cocente delusione subita in tale rapporto segna per Leopardi la fine dell’inganno estremo: l’amore. Da questa esperienza nasce il “Ciclo di Aspasia”, dal nome greco in cui il poeta designa in una poesia la donna amata. Il ciclo consta di cinque componimenti. Si tratta di una poesia profondamente nuova: nuda, severa, quasi priva di immagini sensibili. Compaiono atteggiamenti energici e combattivi, il linguaggio si fa aspro e antimusicale e la sintassi complessa e spezzata. Una vera e propria nuova poetica.
Inizia un periodo di intensi rapporti con le correnti ideologiche del tempo. Un impegno negativo e polemico contro tutte le ideologie ottimistiche che esaltano il progresso. Egli ne contrappone le proprie ideologie pessimistiche che escludono il miglioramento della condizione umana. Questa polemica è condotta attraverso varie opere: "La Paralinodia", una sorta di satira pariniana nei confronti della società; "Ad Arimane", un abbozzo di inno al principio del male secondo la religione persiana; "i Paralipomeni", ampio poemetto satirico.

Una svolta essenziale si presenta con "La Ginestra", componimento riproponente la dura polemica antiottimistica e antireligiosa che chiude il suo percorso poetico. Qui Leopardi cerca di costruire un’idea di progresso proprio sul suo pessimismo. La consapevolezze della condizione umana, indicando la natura come nemica, può indurre gli uomini ad unirsi per combattere la sua minaccia. Tale legame può far cessare le sopraffazioni e le ingiustizie della società. Questa filosofia apre qui una generosa utopia basata sulla solidarietà degli uomini.

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