La bomba atomica di Hiroshima e Nagasaki | Video

La bomba atomica di Hiroshima e Nagasaki furono lo strumento per portare alla resa il Giappone alla fine della seconda guerra mondiale.

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Tuttavia la guerra proseguiva e la vittoria degli Alleati non era completa. Il Giappone, ultima forza dell'Asse, continuava a resistere alle incursioni aeree e ai bombardamenti americani e, poiché aveva rifiutato di accettare la resa incondizionata il 28 luglio, gli Stati Uniti decisero di utilizzare la bomba atomica per porre fine alla guerra. Il presidente Truman ordinò gli attacchi: vennero fatte esplodere due bombe, il 6 agosto a Hiroshima e il 9 agosto a Nagasaki. Le due città erano tra le meno danneggiate dai numerosi bombardamenti e pertanto le più idonee a dare dimostrazione di fronte al mondo della straordinaria potenza distruttrice della bomba e della supremazia militare e tecnologica degli Stati Uniti.

Le condizioni meteorologiche e di visibilità, fortuitamente buone al momento dell'azione, consegnarono tragicamente Hiroshima e Nagasaki alla storia. Su Hiroshima, la mattina del 6 agosto 1945 fu sganciata, dal B-29 Enola Gay, dal nome della madre del suo comandante, Paul Tibbets, la bomba all'uranio 235 "Little Boy", dotata di una potenza pari a più di 20.000 tonnellate di tritolo ed equivalente a un carico usuale di 2000 aerei B-29. L'orrenda deflagrazione generata dallo scoppio della bomba causò la morte immediata di oltre 70.000 persone e di altrettante, per le ferite riportate, nei giorni seguenti. La vita fu cancellata nella zona d'impatto della bomba, dove si produsse una temperatura di alcune migliaia di gradi Celsius con l'istantanea cremazione di ogni essere vivente. Nelle zone limitrofe molti subirono orrende ustioni, lacerazioni e malformazioni; i superstiti portano ancora oggi i segni della bomba indelebilmente scolpiti sul proprio corpo.

Molti di loro descrissero l'esplosione con il termine pika, che significa lampo; mentre chi si trovava fuori dalla città lo ricordò come pikadon, ovvero lampo-boato. In un raggio di decine di chilometri regnava la morte. Tibbets, testimone, con gli altri esecutori della missione, di uno spettacolo allucinante, scrisse sul diario di bordo: «Hiroshima non c'è più, al suo posto c'è un orribile nube purpurea che ribolle, espandendosi come un fungo, in una pentola di olio nero». Le autorità giapponesi censurarono le notizie sull'accaduto; Truman e Churchill si assunsero la responsabilità di proseguire. Così il 9 agosto fu la volta di Nagasaki, raggiunta di mattina dal Bock's Car del maggiore Charles Sweeney, che vi scaricò una bomba al plutonio, "Fat Man". Complessivamente nelle due esplosioni morirono 300.000 persone. Per il 17 o 18 agosto era prevista una nuova missione. Ma il Giappone capitolò. La guerra era vinta.

Agli occhi degli Stati Uniti e del mondo questo sembrò il prezzo da pagare per ottenere la fine di anni di atrocità. Tibbets e molti altri sostengono che la bomba risparmiò migliaia di nuove vittime, da sacrificare se si fosse resa necessaria l'invasione del Giappone, e che non meno distruttivi e sanguinosi furono, per la loro intensità, i bombardamenti convenzionali. Questa esperienza lasciò comunque tracce indelebili; è sufficiente riportare la drammatica esclamazione proferita dal capitano Robert Lewis subito dopo lo scoppio: «Mio Dio, che cosa abbiamo fatto?».

Theodore van Kirk, navigatore di bordo sull'Enola Gay, ammise: «Io lasciai Hiroshima, ma Hiroshima non lasciò mai me».

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