Karl Marx, economia politica: feticismo delle merci, plusvalore, profitto

Marx, economia politica. Il pensiero economico di Marx nel "Capitale": la critica al capitalismo riassunta nei suoi punti principali

Karl Marx, economia politica: feticismo delle merci, plusvalore, profitto
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KARL MARX, ECONOMIA POLITICA. IL CAPITALE E IL VALORE DELLA MERCE

Il Capitale è insieme al Manifesto del Partito Comunista uno dei testi più noti di Marx
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La teoria economica politica di Marx è riassunta il un testo fondamentale del filosofo: Il Capitale. Il testo è suddiviso in quattro libri totali, tre dei quali usciti postumi alla sua morte e scritti da Friedrich Engels (i primi due) e da Karl Kautsky (il quarto).
Il primo libro, ad opera dello stesso Marx, è del 1867, e comprende una critica all'economia politica di stampo liberista dell'epoca a vantaggio di quella comunista.
Ritenerlo solo un testo economico sarebbe riduttivo: Il Capitale comprende anche importanti considerazioni sociologiche, spiegate attraverso la dialettica.

IL VALORE DELLA MERCE SECONDO MARX

Per Marx ogni merce ha due valori:

  • Un valore d’uso: ciò significa che essa dev’essere utile a qualcosa, e ciò dipende dall’uso - ossia dal consumo - che se ne fa
  • Molteplici valori di scambio: varia a seconda delle altre merci con cui può essere scambiata

Questi due valori dipendono però da un fattore comune: dalla quantità di lavoro socialmente necessario (produttività sociale media in un determinato periodo storico) per produrla.

Più lavoro è necessario per produrre una merce, più essa vale.

Il valore però non si identifica col prezzo: su quest’ultimo influiscono anche altri fattori come l’abbondanza o la scarsezza di una merce.
Marx contesta inoltre il cosiddetto feticismo delle merci, tipico del capitalismo, in cui il prodotto domina l’uomo e i rapporti sociali appaiono come semplici rapporti fra cose, autonome rispetto a chi le ha prodotte e dimenticando che le merci sono il frutto del lavoro umano.

MARX: LA CRITICA AL CAPITALISMO

Nel capitalismo la produzione non è solo finalizzata al consumo ma anche alla accumulazione del denaro. La formula tipica del processo capitalistico è D – M – D¹ (denaro – merce – denaro uno, ovvero più denaro) perché il denaro acquisito alla conclusione del ciclo è aumentato rispetto al denaro impiegato inizialmente per comprare la merce.

Marx parte dal presupposto che il valore di un bene sia dato dalla quantità di lavoro necessaria a produrlo, cosa che già dicevano gli economisti classici Smith e Ricardo.
Ora, il capitalista compra la forza-lavoro dell’operaio dandogli un salario. Se infatti il capitalista desse al salariato l’intero prodotto del suo lavoro, non ne avrebbe per sé alcun profitto. Egli invece paga solo in base a quanto occorre per il sostentamento dell’operaio. Da ciò si origina il plusvalore, che è quella parte del valore prodotto dal lavoro salariato (pluslavoro) di cui il capitalista si appropria. Ed è proprio il plusvalore che rende possibile l’accumulazione capitalistica, cioè la produzione del denaro col denaro.

SAGGIO DI PLUSVALORE E SAGGIO DI PROFITTO

Marx distingue poi tra:

  • Capitale variabile: il capitale investito nei salari
  • Capitale costante: quello investito nei macchinari e in tutto ciò che serve per far funzionare la fabbrica

Poiché il plusvalore nasce solo in relazione ai salari, ossia al capitale variabile, il saggio del plusvalore, ossia quant’è la percentuale del plusvalore, è dato dal rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile.

Ma il capitalista investe non solo in salari ma anche in impianti (il capitale costante), per cui il saggio del profitto, cioè quanto intasca il capitalista, deriva dal rapporto tra il plusvalore e il capitale variabile più quello costante.

Di conseguenza il saggio di profitto sarà sempre minore rispetto al saggio del plusvalore.

Per ottenere una sempre maggiore produttività nel lavoro, vi è la necessità nell’economia capitalistica di introdurre nuovi e più efficienti metodi e strumenti di lavoro. Proprio l’aumento di produttività genera il fenomeno delle crisi cicliche di sovrapproduzione.

Essa porta anche alla distruzione dei beni e alla disoccupazione. Genera altresì la caduta tendenziale del saggio di profitto. Con tale termine Marx intende quella legge per cui aumentando smisuratamente il capitale costante (macchine e materie prime) diminuisce il saggio di profitto cioè il guadagno del capitalista.

CAPITALISMO E COMUNISMO

La legge equivale ad un andamento decrescente ed essa è il "tallone d’Achille" del sistema capitalistico.
Infatti essa, mettendo in difficoltà la borghesia, finisce per produrre la scissione della società in sole due classi antagonistiche: un giorno vi saranno solo più pochi capitalisti da una parte e molti salariati sfruttati dall’altra. Ma ciò porterà, come accennato più sopra, all’inevitabile rovesciamento del capitalismo e alla rivoluzione proletaria con la vittoria finale del comunismo.

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